Servo di Dio Giancarlo Rastelli, un medico cristiano che ha saputo unire scienza carità.
Un gruppo di studenti si imbatte nella figura di Giancarlo Rastelli, dalla loro amicizia giocata in quell’incontro nasce una mostra che gira l’Italia, poi un libro e infine un docufilm e altro…
Ma chi era Giancarlo Rastelli?
Gian (così lo chiamavano i suoi amici) nasce a Pescara il 25 giugno del 1933, da babbo giornalista e mamma maestra, cresce a Parma dove vive fino alla partenza per gli Stati Uniti nel 1961. Educato alla fede cattolica dalla famiglia, frequenta l’oratorio della chiesa di San Rocco a Parma e, sotto la guida di padre Molin Pradel, diventa Congregato Mariano e matura una fede con principi saldi e fermi, legati alla spiritualità igniaziana, ma inseriti in una visione gioiosa della vita. Si laurea a Parma con lode in Medicina nel 1957, con una tesi che lo avvicina alla cardiologia. Il 7 settembre 1961 parte per la Mayo Clinic di Rochester nel Minnesota, un ospedale all’avanguardia nella Cardiochirurgia, vi accede grazie ad una borsa di studio per merito della NATO. Gian arriva lì come l’ultimo degli ultimi, ma nel giro di pochi anni diventa responsabile del settore di ricerca in cardiochirurgia sperimentale. Nel 1964, poche settimane dopo il suo matrimonio, riceve una diagnosi di linfoma di hodgkin, che in pochi anni lo porterà a morire il 02 febbraio 1970. Colpisce che le grandi scoperte che ha fatto, siano state raggiunte negli ultimi anni della sua vita, gli anni in cui, nonostante la malattia, lavorava e studiava instancabilmente. Nel 2005 il vescovo di Winona in Minnesota, Bernard Joseph Harrington, ha concesso il nulla osta alla Diocesi di Parma per l’apertura del causa di beatificazione, adducendo come ragione la compassione umana e l’eroismo con cui ha vissuto gli ultimi anni della sua vita, abbandonato alla volontà del Padre.
Gian è stato di fronte alla sofferenza della malattia dei bambini e alla sua in un modo affascinante.
Colpisce di lui il fatto che era un uomo che si gustava la vita, amava tantissimo pescare, andare in montagna, sciare, recitava a teatro, aiutava gli amici, era uno che mordeva la vita, se la gustava in tutti i suoi aspetti. L’unità della vita di Gian è una cosa evidente, è stato uno studente, un amico, un marito padre di famiglia, un medico, un paziente, ma sempre se stesso.
Era innamorato della Medicina, come lo definiva uno dei suoi compagni di corso. Aveva scoperto, arrivando in America, che un bravo cardiochirurgo non è solo quello che sa mettere le pezze ai cuori, ma è chi conosce tutta la complessità che c’è dietro: l’anatomia, la fisiologia, l’embriologia, addirittura, l’aritmetica e la geometria.
Gian diceva: «Ho sempre pensato che la prima carità che l’ammalato deve avere dal medico, è la carità della scienza, è la la carità di essere curato come va».
Racconta uno degli studenti di Medicina, tra gli autori del libro e della mostra: “Quando io ho letto per la prima volta questa frase, stavo studiando queste discipline di base, e quindi ho visto subito che il mio studio, apparentemente sterile e noioso, aveva invece un valore, aveva dietro il volto di quelle persone che a Dio piacendo un giorno potrò curare. Era un periodo della mia vita in cui mi dedicavo a tante cose, ma facevo un po’ fatica sullo studio; lo studio sembrava togliermi il tempo a ciò che desideravo, alle amicizie alle passioni. Invece così mi son reso conto che lo studio era il primo luogo a cui ero chiamato perché la forma della carità che un medico può dare al suo paziente è la scienza. Allo stesso tempo Gian era uno che diceva che «Sapere, senza saper amare è nulla. È meno di nulla»”.
La scienza e la carità, in lui erano mirabilmente tenuti insieme, amava tantissimo l’inno alla Carità di San Paolo, che ripeteva a memoria ai suoi compagni di corso, al punto da farlo imparare pure a loro.
Prima lettera di San Paolo ai Corinzi (1-13)
Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita.
E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla.
E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe.
La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e in modo imperfetto profetizziamo. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da bambino.
Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!
Gian aveva coscienza che se anche avesse posseduto tutta la scienza, ma non avesse avuto la carità, il suo lavoro sarebbe stato inutile.
Le sollecitazioni che la vita ci dà, se prese sul serio, possono dare molto frutto. Alcuni studenti incontrando e facendosi provocare ed affascinare dalla umanità di Giancarlo Rastelli, hanno generato ”una cosa bella“!
Brigante Operaio