Conclusione Santo Rosario Monastero Wi-Fi Milano

Messaggio del Monastero WiFi di Milano con omelia della Santa Messa conclusiva!
Carissimi, desideriamo rivolgere un sincero ringraziamento a tutti coloro che hanno potuto partecipare agli incontri di preghiera del mese di marzo con il Sacro manto di San Giuseppe e del mese di maggio con il Santo Rosario.
Siamo molto riconoscenti, in particolare, verso don Paolo Cortesi, che ci ha gentilmente ospitato nella Chiesa di Santa Maria della Consolazione, ed esprimiamo la nostra gratitudine ai sacerdoti che si sono resi disponibili ad accompagnarci con le proprie riflessioni: don Paolo Cortesi, don Michele Porcelluzzi, don Attilio Borghetti, don Andrea Mardegan e, infine, don Luca Civardi (alleghiamo in fondo a questa mail la trascrizione della sua omelia del 26 maggio scorso).
In attesa di rivederci in altre occasioni dopo le vacanze estive, speriamo di incontrare sabato 5 giugno chi potrà raggiungerci alla presentazione dell’ultimo libro di Costanza Miriano presso l’Opera Don Orione alle 15:30, in via Caterina da Forlì, 19  (dettagli sul sito https://bit.ly/monasterowifimilano).

Omelia di don Luca Civardi
Memoria di san Filippo Neri
26 maggio 2021 – Santa Maria della Consolazione – Milano

Le parole di Gesù sono sempre molto precise: è difficile non fare attenzione a quello che dice. È ancora più difficile non prestare attenzione al modo in cui lo dice. C’è una differenza sostanziale tra il comandamento così come lo dice Gesù e il comandamento così come lo riporta lo scriba. La differenza sostanziale sta nel tempo e nel modo in cui è pronunciato il comandamento. Gesù pronuncia il comandamento utilizzando il futuro: amerai. E’ un futuro impegnativo, è un futuro che abbraccia tutta la vita, è il futuro che si distende giorno dopo giorno e attraversa tutta la nostra esperienza. Lo scriba, invece, utilizza un verbo all’infinito: generico e difficile da misurare. E’ una differenza non da poco, è una differenza tra un concetto e un’azione, tra un’idea e una pratica. E questa differenza è, in fondo, la differenza che ci consente di sperare. Il fatto che Gesù ci consegni un comandamento coniugandolo al futuro, significa che vede il cammino davanti a noi, che vede la strada che ciascuno di noi deve compiere, che vede e intuisce quante volte i nostri giorni conosceranno una tappa di avvicinamento a lui o un momento di fatica. Questo verbo al futuro è testimonianza del fatto che Gesù non si accontenta di riassumere i giorni sotto un ombrello sintetico ma riesce ad attraversarli uno dopo l’altro, virtù che anche noi dovremmo imparare: non tutto, subito, adesso, con la forza di un’idea, ma la fedeltà di un giorno dopo l’altro, la grazia che attraversa un’esperienza dopo l’altra e la modella. Il futuro, in fondo, applicato a un comandamento dice questo: il Signore Gesù, con questo comandamento, vuole modellare la nostra vita, vuole scolpire i nostri giorni, vuole plasmare le nostre coscienze.

Una seconda riflessione si può fare su quell’insistenza così evidente sul tutto. Dice Gesù «con tutta la tua anima, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutta la tua forza». E probabilmente questa è la cosa che resta nell’orecchio allo scriba, tanto che la ripete. E’ vero, è già un passaggio del libro del Deuteronomio, del libro dell’Esodo, però questa insistenza coinvolge lo scriba. Dobbiamo ammettere che questa totalità un po’ ci sfugge. Noi non siamo più uomini e donne della totalità, amiamo molto la parzialità, amiamo frantumare la nostra coscienza, le nostre esperienze, amiamo frantumare il nostro cuore in piccoli esercizi d’amore. Ma questa totalità che il Signore chiede è tutt’altro: noi esigiamo la totalità, difficilmente la offriamo. Questo accade, per esempio, nelle relazioni fra marito e moglie: esigiamo la totalità da chi abbiamo di fronte, difficilmente la offriamo. E, se lo facciamo, lo facciamo con il desiderio di arrivare a rivendicarlo.

Potremmo fare due applicazioni.

La prima è quella sulla Chiesa: cosa fa la Chiesa di questo comandamento? Oggi, nel 2021, la Chiesa che vive nel mondo, in questo mondo così strano, così disorientato, ascolta questo comandamento e si domanda: ma qual è il futuro? Ci sono almeno due tempi del futuro che la Chiesa dovrebbe tenere sott’occhio: il primo è il futuro che verrà: per quale motivo dovremmo vivere con angoscia i giorni che verranno? Qual è la ragione per cui un credente dovrebbe guardare ai giorni che ha davanti con angoscia? Questo è il primo futuro di cui si dovrebbe preoccupare la Chiesa: dovrebbe ricominciare a parlare di una speranza che è più forte della sciagure che accadono. E poi c’è un secondo futuro, che non è proprio un futuro: è l’eternità. Vi siete accorti che la Chiesa non parla più dell’eternità? La Chiesa ha paura di questa parola, perché non sa come farla vedere, non sa come farla gustare, non sa come spiegarla. E per questo motivo la mette da parte. E invece la Chiesa dovrebbe tornare a riascoltare questo futuro che è l’eternità per capire come il comandamento di Dio serve a entrare proprio lì, ad avvicinarsi a quell’esperienza di futuro che è per tutti.

La seconda cosa che potremmo dire sulla Chiesa è questa: ma a questa Chiesa che ha tutto, che ha possibilità economiche sterminate, che si occupa e si preoccupa di tutto, qual è la totalità che manca? Qual è la totalità che oggi la Chiesa non riesce a vivere? E’ la totalità di Dio. La Chiesa si sente di appartenere a tantissimi, agli uomini, alle donne, a questa idea, a quell’altra, a questa nazione, a questo sinodo, a questa particolare forma di aggregazione, a questa sensibilità. Ma quando la Chiesa è di Dio? Quando la nostra Chiesa, la Chiesa che noi formiamo si ritrova in questo senso di appartenenza? La totalità di questo comandamento vuol dire per la Chiesa sapere di chi si è: di chi sono i cristiani? I cristiani sono di Dio. E sarà il caso di cominciare a dirlo.

E poi un’altra applicazione possiamo farla alla beata Vergine Maria alla fine di questo mese che abbiamo dedicato nei vari appuntamenti alla recita del Rosario. Qual è il futuro di Maria? Pensando a questa cosa, mi sono immaginato la Madonna seduta nella casa di Nazareth (in realtà doveva essere una specie di grotta: si vede sotto la Basilica di Nazareth qualcuna di queste grotte, dove c’è scritto Kaire, la prima preghiera), mentre guardava davanti a sé, mentre pensava al futuro delle parole che l’angelo le aveva rivolto: pensate che si sia lasciata prendere dallo sconforto? Pensate che abbia immaginato di sottrarsi perché le cose sembravano un po’ improbabili? No, perché c’era l’evidenza di quel bimbo che cresceva. Il futuro della beata Vergine Maria era così evidente dal distoglierla dalle ansie del presente. Bisognerebbe che anche in questo noi diventassimo un po’ più cristiani, un po’ più capaci di vivere come questa donna che, gravida del mistero di Dio, ha deciso che valeva la pena affidarsi a ciò che vedeva crescere.

La seconda riflessione è questa: c’è anche una totalità della beata Vergine Maria che oggi i teologi fanno fatica ad affermare, cercano di ridurla, di ridimensionarla: è la verginità. La totalità dell’amore, della forza, del cuore, della mente e dell’anima di Maria, si esprime in questo stato di verginità, di dedizione assoluta e completa fin nella carne. E questo impressiona. Facciamo fatica a immaginare questa verginità perché non amiamo una totalità che decide così tanto dei nostri giorni! Una totalità che ci condiziona così tanto nelle scelte, negli affetti, nel modo di lavorare, nel modo di fare la carità! La verginità di Maria non è un optional della fede, ma è il modo con cui noi comprendiamo che si può dare tutto a Dio in tante forme, ma anche e soprattutto a partire da questa verginità, da questa dedizione e da questa dedicazione assoluta.

Pertanto, il futuro di cui parla Gesù e la totalità con cui descrive la forza di questo comandamento ci provocano e ci domandano: ma tu che cristiano sei? Ma tu come guardi alla Chiesa di oggi? Ma tu come contempli la beata Vergine Maria? In fondo basta il futuro, basta la parola tutto.