In battaglia per la libertà di credere

(by Rimini 2.0 di Paolo Facciotto)

Il giovane Luigi Negri nelle pagine dei libri di storia. Quando, sessanta anni fa, c’era chi voleva inquadrare gli studenti nel “partito unico”. Un ritratto che introduce anche sulla soglia del suo magistero di vescovo, a San Marino prima e a Ferrara poi.

Guardando gli avvenimenti dal punto di vista soprannaturale la morte di monsignor Luigi Negri non è perdita ma acquisto in cielo, dove non c’è tempo né storia.
Sotto l’aspetto storico e umano, invece, è dolorosa la perdita soprattutto per i tanti che sono stati alla scuola del sacerdote milanese, ma non solo per loro.
Lo si è definito “un prete da battaglia”. Sicuro. E in buona compagnia, dal momento che il Papa emerito Benedetto XVI, ricevendolo in visita privata nel febbraio 2014 e commentando con lui la situazione del rapporto fra Chiesa e mondo, disse: “se non c’è battaglia, non c’è cristianesimo”.
Ma ora domandiamoci: per che cosa ha combattuto don Negri? e qual è la consegna che le sue battaglie suggeriscono oggi?
Un lacerto di risposta, pur provvisoria e parziale, possiamo ricavarla dai libri di storia – sì, perché Luigi Negri non solo ha scritto libri di storia, ma nella storia della Chiesa ci è già entrato, prima che fosse fatto vescovo, prima ancora che fosse ordinato sacerdote. Possiamo sapere qualcosa della sua personalità addirittura da ragazzo, studente liceale e universitario.

Ce ne parla una voce autorevole, Massimo Camisasca, attuale vescovo di Reggio Emilia – Guastalla, nei suoi libri di Edizioni San Paolo sulla storia di Gioventù Studentesca, prima, e di Comunione e Liberazione, poi, libri che attraversano la storia della Chiesa dagli anni Cinquanta in avanti. “Era stato per anni presidente della commissione cultura di GS e uno dei principali collaboratori di don Giussani nella conduzione del movimento dal 1960 al 1965”, scrive Camisasca [Comunione e Liberazione. Le origini (1954-1968), Cinisello Balsamo 2001, pp. 145 e sgg.]. In quegli anni Negri entra nella querelle sorta a proposito delle associazioni studentesche: “erano concepite – scrive Camisasca – come parlamenti in miniatura dove […] politicamente si affermava il desiderio della sinistra di preparare il mondo giovanile all’incontro tra cattolici e socialcomunisti attorno agli ideali della Resistenza”. Il punto è che tali associazioni “pretendevano di essere l’unico contenitore educativo per i ragazzi”, di qui “la battaglia mossa da GS contro il progetto culturale che, servendosi degli organismi studenteschi, era messo in atto dalle forze laiche e marxiste del paese”. Ancora: “il disagio e la polemica politica divennero insostenibili, tanto che la stessa autorità ecclesiastica non poté che approvare nel ‘61-62 gli studenti cattolici milanesi, che decisero di abbandonare le associazioni”. “Dobbiamo educare i giovani alla politica”, dicevano liberali e sinistre, e i giovani di GS rispondevano dal loro giornale Milano Studenti: “Col partito unico si vuole educare alla democrazia?”. In quel periodo le cronache ricordano il giovane Luigi Negri, insieme ad altri due giessini, cercare di intervenire al Circolo Turati ad un dibattito presieduto da Paolo Grassi, per portare le ragioni dei cattolici, e cioè “l’idea giessina di educazione come verifica di una tradizione e di democrazia come corresponsabilità di identità chiare e formate”.
Partito unico, da una parte, dall’altra identità e tradizione: sorprendente attualità. Largamente incompresi ed emarginati, i cattolici non stavano con le mani in mano e promuovevano liberi convegni culturali. In uno di questi, il ventunenne Negri relaziona sul tema “Cristianesimo e socialità” e dice: “Il mondo, sia a Est che a Ovest, ha come unica caratteristica la piattezza: la socialità è ovunque avvertita solo come un impoverimento dell’umano. […] Il cristianesimo come valorizza la responsabilità della persona, così promuove il nascere di una società pluralista, unica condizione di effettiva democraticità: questo pluralismo si deve verificare in particolare nell’educazione e nella possibilità dei giovani di usare del tempo libero. Solo una partecipazione viva e generosa alla comunità ci fa scoprire integralmente la nostra persona e ci muove con passione e dedizione vera verso tutti gli altri. […] L’unico dovere che incombe alla nostra età è quello di educarci veramente al cristianesimo, come introduzione paziente e solida a tutte le cose, vivendo anzitutto la comunità della Chiesa”.
Una decina di anni più tardi troviamo Negri, appena ordinato sacerdote, scelto nel 1972 come guida di Gioventù Studentesca con il programma “Per un movimento di liberazione nella scuola” e più precisamente “porre un fatto definitivo e globale: la comunione cristiana, matrice di un nuovo sapere”. Ne parla il secondo libro storico di Camisasca [La ripresa (1969-1976), Cinisello Balsamo 2003, capitolo “La battaglia culturale e politica nelle scuole”, pagg. 110 sgg.].
Ancora una volta Negri e i giessini stanno al fronte, in una “battaglia contro il primato dello Stato come soggetto educativo – scrive Camisasca – e contro la pretesa neutralità della scuola di Stato, a cui si accompagnava l’affermazione della neutralità della scienza come sapere oggettivo, valido per tutti”, mentre, su altro versante, “gli extraparlamentari, soprattutto attraverso certa pratica assembleare, avevano ridotto la scuola a un loro feudo, impedendovi di fatto ogni elementare forma di democrazia”.
“La battaglia – insiste ancora Camisasca – che don Negri e gli insegnanti di CL volevano combattere si configurava come difesa della possibilità di vivere la propria identità cristiana nell’ambiente scolastico e, quindi, come difesa della stessa democrazia nella scuola”. Con i “decreti delegati” si apre poi la stagione delle prime elezioni scolastiche (febbraio 1975): la GS a guida Negri “ottenne il 30% dei seggi tra gli studenti milanesi, il 35% in Lombardia, il 20% (con punte del 30% in alcuni istituti) a Roma. Ciò mise in allarme le altre forze in campo”. Di lì a poco, dalle intimidazioni e alle minacce si passa alle bombe molotov e alle sprangate, al grido “le sedi di CL si chiudono col fuoco, anche se questo è ancora troppo poco!” (foglio murale comparso il 5 maggio 1975). Scrivono in una lettera a quattro mani don Giussani e don Negri: “Ci sembra ormai possibile parlare di un nuovo totalitarismo ideologico che, se tollera ancora la fede come fatto della coscienza privata, cerca, anche con la violenza, di impedire ogni emergenza pubblica e ogni incidenza politica. Il nome stesso di cristiano, come ha affermato il cardinale Poletti [all’epoca Vicario del Papa, ndr], è spesso contrastato come se fosse colpa sociale”.
E allora – in conclusione – qual era il succo della battaglia che Luigi Negri ha combattuto generosamente fin dagli anni della giovinezza? “Noi non ci sentiamo divisi tra due logiche, quella divina e quella umana: ma sentiamo ogni giorno di più che proprio dalla nostra identità cristiana nasce la capacità di un contributo specifico e costruttivo alla vicenda della società civile”, scriveva da giovane prete sulla Rivista del Clero Italiano, replicando a chi, sulla stessa rivista del clero, aveva accusato CL di voler dilatare la propria presenza, come se ciò rappresentasse un delitto di lesa maestà.
Negri ha speso le sue energie perché fosse possibile ai giovani l’incontro con il Sommo Bene, Gesù Cristo. Contro l’unanimismo e il potenziale totalitarismo del pensiero unico, il suo è stato un contributo che reclamava libertà e aperto alla libertà di chiunque. Per questa battaglia il campo è aperto, ancora oggi.